martedì 5 ottobre 2010

Cosa si fa per campare.. " storia di una vita da precario"



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Laureato lucano lavora in Svizzera come cavia umana

di MASSIMO BRANCATI Gazzetta del Mezzogiorno del 5/10/10

POTENZA- Una vita da precario. Tre mesi qui, due mesi là, un contratto a progetto per pochi spiccioli. La laurea in Lettere e filosofia non gli crea le opportunità che sperava. E così il potentino R. S., 34 anni, per evitare di sprofondare nella depressione del disoccupato («che - dice - non ha santi in paradiso») ha deciso di «affittare il suo corpo». Niente a che vedere con il sesso. Si mette a disposizione delle case farmaceutiche per testare nuove molecole e nuovi farmaci. È quel che si dice una «cavia umana».

Dal 2006 R. S. trascorre quindici, venti giorni all’anno in una clinica della Svizzera a ingurgitare pillole, sciroppi o a provare unguenti. Tra un test e l’altro trova pure il tempo di godersi massaggi, beauty farm, piatti prelibati e una piscina hollywoodiana all’interno della clinica stessa. «Mi trattano con i guanti bianchi. E poi mi pagano bene», dice il potentino. Le cifre? Si va da 250 euro a 600 euro al giorno. Dipende dall’importanza della sperimentazione. E, forse, anche dalla sua pericolosità. R. S., però, non teme contraccolpi per la sua salute. È tranquillo e benedice il giorno in cui ha colto questa occasione: «Ho parenti in Svizzera e quando sono andati a trovarli ho letto un annuncio della facoltà di Medicina che cercava persone disposte a entrare nello staff di un’importante casa farmaceutica. Mi sono presentato, consapevole di trovarmi di fronte a una scelta difficile».

Al primo incontro lo hanno letteralmente rivoltato come un calzino con un’accurata visita medica: «In questo modo - racconta - hanno escluso problemi di salute e mi hanno arruolato». La prima sperimentazione ha riguardato un principio attivo utilizzato per la cura della gastrite: «Non ho avuto particolari reazioni - dice R. S. - e così sono andato avanti anno dopo anno. Paura? No, perché sono in mano a scienziati, medici, seri professionisti. Le persone da sottoporre alle terapie vengono scelte in base al grado di tollerabilità al farmaco. E sono attentamente monitorate. È chiaro che, tanto per fare un esempio, a un volontario non verrano mai dati antitumorali con elevati effetti tossici collaterali».

Ma come si diventa una «cavia umana»? «Bisogna - sottolinea R. S. - semplicemente essere un soggetto in buona salute e non avere problemi psicologici. L'aspirante volontario, inoltre, deve essere disposto a firmare un contratto in cui si specificano diritti, doveri e rischi. È una prassi. C’è, però, anche un’altra strada. Oltre alle persone sane che, in cambio di soldi, assumono le nuove molecole sviluppate in laboratorio affinché ne sia valutata l’efficacia, ci sono persone già malate che si offrono gratuitamente per alimentare una speranza. E questo, in genere, avviene quando ci si trova di fronte a malattie gravi e ritenute incur abili».

R. S. tornerà in Svizzera a novembre. Un’altra «vacanza» sulle Alpi a colpi di pillole e beveroni dal contenuto «top secret»: «Mi hanno già chiamato per un nuovo test. Se fosse per me - sottolinea - ne farei due all’anno, così metterei da parte un bel gruzzoletto. Ma non è possibile. Occorrono almeno sei, otto mesi di disintossicazione per presentarsi di nuovo in clinica».

Cosa non si fa per i soldi: «Che male c’è - conclude R. S. -. Dopo tutto non sto mica vendendo un rene o un occhio. E corro meno rischi di chi assume un’aspirina e non sa di esserne allergico».

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